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La tastiera italiana come causa di un pericoloso malcostume linguistico

Ho deciso di condividere un articolo che scrissi nel 2007 dal titolo “La tastiera italiana come causa di un pericoloso malcostume linguistico“. Nell’articolo mostro come la disposizione della tastiera italiana favorisca l’uso della combinazione lettera + apice in sostituzione della lettera accentata. Pur non avendo una preparazione universitaria in linguistica, decisi di scrivere questo articolo come reazione alla trattazione a mio avviso superficiale dell’argomento da parte dell’Accademia della Crusca. Ogni commento è benvenuto.

Buona lettura!

Lettera aperta ai rappresentanti politici italiani

Gentili rappresentanti politici italiani,

sono Alessandro Rossini, un giovane di 28 anni che è stato costretto purtroppo o per fortuna ad espatriare per non vedere vanificati tanti anni di sacrifici.

Scrivo questa lettera per condividere con voi la mia storia. Prendetela un po’ come volete: come la storia di un perfetto sconosciuto a cui non dare nessuna importanza oppure come l’ennesima preoccupante testimonianza di uno dei tanti professionisti che da decenni abbandonano il Bel Paese.

Ho investito diversi anni della mia vita sopra i libri per ottenere una istruzione universitaria. Non sono stato solo un “secchione”, ho coltivato i miei interessi ed ho avuto i miei momenti di svago, ma i sacrifici sono stati tanti. Il risultati sono stati un master in tecnologie del web ed una laurea magistrale con lode in informatica presso l’Università degli Studi dell’Aquila, uno stage aziendale di quattro mesi a Roma presso una importante società di consulenza e soprattutto un anno di scambio in Norvegia grazie al programma Erasmus.

Alla fine del mio ciclo di studi, mi sarebbe piaciuto rimanere in accademia a fare il ricercatore. La ricerca è una delle cose che mi stimola di piú… Già da bambino dicevo che da grande avrei fatto l’inventore. Non avevo ancora idea di cosa avrei inventato, ma le intenzioni erano buone. 🙂 Il relatore della mia tesi mi invitò a partecipare al concorso per l’assegnazione di una borsa di studio per il dottorato, ma le condizioni di lavoro sarebbero state quelle stranote: poco piú di 800 EUR netti al mese, ovviamente se fossi rientrato fra i pochi “eletti” a vincere il concorso. Ma oggi uno scapolo che non vuole piú gravare sulle finanze dei genitori ha bisogno di molto di piú di 800 EUR al mese.

Nei mesi seguenti la mia laurea, ricevetti anche alcune offerte di lavoro dall’industria. La maggior parte delle proposte arrivarono da Roma e Milano, ed io sarei stato ben disposto a trasferirmi, se solo avessi ricevuto una proposta di lavoro adeguata. L’offerta piú vantaggiosa mi proponeva di lavorare a Milano per uno stipendio di 1200 EUR netti al mese, con un contratto di formazione e lavoro della durata di un anno. Mi chiesi piú volte cosa avessi studiato a fare, visto che è possibile guadagnare di piú con lavori per i quali non è richiesta la benché minima preparazione universitaria.

Con la ristrettezza e la precarietà di queste offerte, voi (dimenticando per un attimo l’agio in cui vivete grazie alle cariche che rivestite) ne avreste accettata una? Io proprio no. Molti dei miei colleghi ci erano già passati e si trovavano a vivere con l’ansia di non arrivare alla fine del mese.

Eppure, con i vostri programmi elettorali avete sempre promesso, tra le tante cose, aumento degli investimenti in istruzione e ricerca, riduzione del precariato lavorativo, snellimento della burocrazia, ma soprattutto avete promesso un futuro ai giovani. Puntualmente, avete disatteso tutte queste promesse.

A dir poco scoraggiato dallo scenario che mi si presentava davanti, iniziai a pensare che l’unica strada auspicabile per la mia carriera sarebbe stata quella di spostarmi all’estero. Grazie ai contatti fatti durante la mia esperienza di studi in Norvegia, ricevetti un’offerta di lavoro come ingegnere informatico presso una azienda di consulenza di Bergen. La scelta non era delle piú semplici, ma alla fine accettai e poche settimane dopo ero nel profondo nord. Dopo qualche mese di lavoro come ingegnere, ricevetti un’altra proposta di lavoro come dottorando presso l’Università di Bergen. Non mi feci scappare questa occasione, e riuscii finalmente a realizzare uno delle mie piú grandi aspirazioni: diventare un ricercatore.

È inutile che vi dica che le condizioni contrattuali sono decisamente allettanti: lo stipendio di partenza (anche normalizzato al costo della vita) è piú del doppio di quanto offerto in Italia, la classe di stipendio viene aumentata annualmente, le ferie pagate sono cinque settimane all’anno e l’orario di lavoro è flessibile. Ancora una volta, voi cosa avreste fatto? Io ho preso la mia decisione serenamente, ho accettato di investire almeno i prossimi quattro anni della mia vita qui.

Da due anni vivo in un Paese che, pur con i suoi difetti e problemi, è sicuramente moderno e dinamico. Ricordo ancora che al mio arrivo tutti mi parlavano in inglese, e le uniche cose che dovetti fare furono richiedere il permesso di soggiorno ed aprire un conto in banca. In meno di un giorno avevo finito con la burocrazia: nessuno mi chiese di riempire decine di moduli ridondanti, nessuno mi chiese di comprare marche da bollo, nessuno mi chiese di rivolgermi ad altri uffici. Alle tasse ci pensa direttamente il datore di lavoro. Le mie qualità vengono valorizzate ed alla fine del mese ho la mia gratificazione economica.

Quella di trasferirmi all’estero è stata comunque una delle scelte piú difficili della mia vita. Trasferirsi a piú di 3000 km da casa vuol dire mettersi completamente in gioco e ricominciare da zero. Rinunciare alla vicinanza della propria famiglia, dei propri affetti, delle proprie amicizie sono solo le piú ovvie delle conseguenze di una scelta cosí importante. Si deve imparare una nuova lingua, cambiare le proprie abitudini alimentari, familiarizzare con nuovi usi e costumi e farsi piacere anche quello a cui non siamo e non vorremmo essere abituati. Si deve affrontare la solitudine, ricostruire una rete di amicizie e a volte sentirsi un ospite indesiderato. Credete sia facile? Eppure io preferisco affrontare di petto tutto questo pur di avere un futuro…

Gentili rappresentanti politici, sarò ripetitivo ma ci tengo a ribadire che io sono solo uno dei tanti cervelli che hanno ricevuto ospitalità e garanzie all’estero. I giovani che fuggono lo fanno perché non hanno possibilità di esprimersi nel loro Paese, e non c’è da meravigliarsi: la ricerca universitaria si regge in piedi con mezzi di fortuna e le aziende italiane in cui si possa parlare di ricerca e sviluppo si contano ormai con due mani. Questo è un problema che conoscete bene, eppure non provate ad arginarlo in nessun modo. Non vi preoccupa minimamente che molti giovani capaci se ne vadano a dare il loro contributo in altri Paesi? Di questo passo, chi si occuperà dello sviluppo dell’Italia? Da 50 anni non fate piú politica, ma pensate solo ai vostri interessi. Perché al posto di giocare alla creazione di nuovi partiti, federazioni e alleanze, non cercate concretamente di frenare gli innumerevoli sperperi di denaro pubblico per investirli in maniera opportuna? Oppure il sistema è veramente cosí marcio da non poter porre rimedio?

Io rimango perplesso e soprattutto triste di fronte al declino di un Paese cosí bello e dalla storia cosí ricca.

Cordiali saluti,
Alessandro Rossini

Addio Italia: finalmente a Bergen

Questi ultimi giorni sono stato piú impegnato del solito, poiché mi stavo preparando ad un cambiamento piuttosto significativo nella mia vita.

Fino a qualche mese fa ero ancora un semplice studente desideroso di terminare gli studi, e vivevo con la mia ragazza a L’Aquila, non lontano dalla mia famiglia. Oggi invece sono un lavoratore a tempo pieno e vivo a Bergen, in Norvegia, lontano piú di 3000 km dai miei affetti.

Perché questo cambio radicale? Dopo essermi laureato ho iniziato a ricevere diverse proposte di lavoro, tra cui un dottorato di ricerca nella mia università (senza alcuna garanzia di borsa di studio), cosí come alcuni posti da ingegnere informatico a Roma o Milano. Purtroppo accettare queste offerte avrebbe significato diventare oberati di lavoro e sottopagati, almeno per alcuni anni. Amici e colleghi continuavano a dirmi che era normale, che ci sono passati tutti. Io non avevo nessuna voglia di accettare questa prospettiva.

Fortunatamente ho ricevuto una proposta dalla Norvegia, che è di gran lunga piú gratificante di tutte le altre che ho ricevuto dall’Italia. E cosí ho preso una scelta: non completamente cosciente del passo che avrei fatto ho deciso che sarei tornato nella città che mi aveva già ospitato per un anno.

Quanto rimarrò qui? Chi lo sa… Ho voglia di girare il mondo, quindi non è detto che la Norvegia sia il Paese dove mi sistemerò, ma per il momento ci resto e prendo il meglio che mi viene offerto. Mi mancheranno diverse cose dall’Italia: la ragazza, la famiglia, gli amici, il clima, il sole, il mare, la cucina, la moto. 😉 Ma per il resto però credo proprio di aver fatto la scelta giusta. Qui ho molto da guadagnare e poco da perdere.

Addio Italia, hai perso un cervello e hai guadagnato un turista.

5×1000 all’Università degli Studi dell’Aquila

Dopo aver trascorso sette anni all’Università degli Studi dell’Aquila, ho deciso di donare il 5×1000 all’ateneo che mi ha fatto laureare in Informatica.

Pensavo che la procedura fosse complessa, invece per una volta la burocrazia ha funzionato a dovere. I dati di riferimento sono:

  • Codice fiscale/Partita IVA : 1021630668
  • Ragione sociale: Università degli Studi dell’Aquila

Un commercialista dovrebbe impiegare pochi minuti ad inserire questi dati nel sistema di comunicazione con l’Agenzia delle Entrate. In ogni caso su tutti i modelli per la dichiarazione dei redditi (Modello Unico, 730, CUD, ecc.) è presente un riquadro dedicato alla destinazione del 5×1000. In questo riquadro sono presenti tre aree di destinazione: si deve barrare quella dedicata alla “Ricerca scientifica”, scrivere il numero di codice fiscale, e firmare.

La ricerca è notoriamente snobbata dai nostri governi, indipendentemente dallo schieramento. La devoluzione del 5×1000 da sola non sarà sufficiente ad arrestare la fuga di cervelli, ma quantomeno potrebbe dare un messaggio a quei politici che da diversi anni contribuiscono al rallentamento dello sviluppo del Paese.

Stato della chiesa

L’Italia, o meglio, la Repubblica Italiana, dovrebbe cambiare nome in Stato della Chiesa… sí avete letto bene Stato della Chiesa, come nell’antico splendore ottocentesco.

Lo spunto per questa riflessione è la recente notizia che nel processo a Radio Vaticana, accusata di essere responsabile di inquinamento elettromagnetico che aumenterebbe l’incidenza di tumori ed altre patologie, l’emittente pontificia è stata assolta in appello. “Il fatto contestato non è previsto dalla legge italiana come reato”. Il che significa che l’attività della Radio non può essere contestata.

Ora io non voglio entrare in merito né a questioni mediche né a questioni legali, non sono competente. Non ho gli strumenti per sostenere la tesi secondo la quale l’inquinamento elettromagnetico aumenti l’incidenza di patologie terminali, cosí come non ho gli strumenti per capire come mai la magistratura abbia ribaltato una prima sentenza di colpevolezza. Quello che so è che ci sono dei limiti di legge riguardanti le potenze massime di emissione, e che questi limiti vengono abbondantemente superati da Radio Vaticana. La cosa è stata ampiamente mostrata in vari servizi di Iene, Striscia la Notizia, Report e chissà quanti altri: se ne parla da anni ormai. I vari comitati delle aree colpite da questo elettrosmog hanno presentato in tribunale innumerevoli perizie tecniche. Eppure la magistratura ha deciso di non farsi piú domande e di ristabilire come al solito il principio di intoccabilità della Chiesa cattolica.

Questo è solo uno dei tanti esempi. Si potrebbe anche parlare dell’attacco ai comici del concerto del primo maggio, dell’affossamento dei DICO, della campagna di disinformazione sull’inchiesta della BBC sul “Crimen Sollicitationis”… e tutto questo è accaduto solo nell’ultimo mese.

Il catechismo della Chiesa cattolica ricorda (nn. 1267 e 1269) che il battesimo «incorpora alla Chiesa» e «il battezzato non appartiene più a se stesso […] perciò è chiamato […] a essere “obbediente” e “sottomesso” ai capi della Chiesa». Volete ancora continuare ad essere sottomessi? Se la risposta è no potete sempre cancellare gli effetti civili del battesimo: trovate tutte le informazioni di cui avete bisogno qui. Io l’ho già fatto, mi sono “sbattezzato” per coerenza, e per rivendicare il mio senso di non appartenenza alla Chiesa cattolica.